Intervista a Anri Ambrogio Azuma

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Ciao Ambrogio. Nel giro d’interviste che accompagnano il periodo successivo all’Italian Bowl è sembrato doveroso coinvolgere coloro che con il prezioso lavoro di tutti i giorni contribuiscono a far crescere tecnicamente e umanamente il parco giocatori blue navy, tradizionalmente improntato sulla linea giovane. Dal settore giovanile proviene infatti, in gran parte, il successo dei Cisalfa Seamen degli ultimi anni. Tu che sei impegnato su tutti i fronti, dalla prima squadra alle formazioni flag, hai sicuramente il polso della situazione e a te sottoponiamo, anche come giusto riconoscimento per la preziosa opera svolta, questa serie di domande.

D. Sappiamo che hai una lunga militanza nel football italiano. Basta fare una breve ricerca sulla rete o guardare una delle tante foto che hanno accompagnato il tuo percorso in questo sport per capirlo. Vuoi raccontarci in poche righe, ovviamente ne servirebbero molte di più, la tua “carriera” nella palla lunga un piede?

R. Ho visto il football americano in televisione. Ai miei tempi le partite le trasmettevano in differita e se volevi vederle in diretta dovevi andare all’ambasciata. Ero piccolo di statura, a rugby non ci potevo giocare, ma nel football esiste un posto per tutti e i Rams trovarono un posto per me. Andai ad allenarmi due volte e poi il coach mi diede casco e paraspalle e un ruolo in attacco: io non avevo nemmeno sedici anni e dovetti portare il consenso firmato dei miei genitori. Non esistevano le giovanili, esisteva solo la prima squadra con tre allenamenti a settimana e nessuno guardava la tua età anagrafica quando doveva placcarti. Avevo abbastanza coraggio e incoscienza. Finii nella All Star under 20, conobbi compagni e avversari che diventarono amici per la vita e con loro vinsi tanto, persi tanto, ma soprattutto giocai tanto.

D. Settore giovanile. Una passione, una necessità per chi opera in uno sport dilettantistico. Cosa rende unici, a tuo parere, i risultati dei Cisalfa Seamen, conquistati nell’ultima decade?

R. I Seamen hanno uno scheletro sano e forte e la società che li sostiene è seria. Li sostiene materialmente ed emotivamente. La squadra ha apparati perfettamente funzionanti: fisioterapisti, genitori, team managers sempre presenti. Su tutto questo s’innestano i ragazzi che possono pensare solo a giocare, allenarsi, studiare gli avversari e i propri ruoli. I fratelli Mutti hanno fatto sì che chi allena e chi gioca per i Seamen possa davvero essere concentrato al massimo su ciò che sta facendo e questo è un privilegio.

D. Domanda banale, ma sempre in voga. La poniamo a un architetto di valore abituato a fare progetti di successo. Cosa manca oggi al football italiano? Si tratta solo di una questione di progettualità? Come ti piacerebbe veder cambiare nel Bel Paese, ovviamente in meglio, questo sport?

R. E’ impossibile parlare di cambiamenti a livello nazionale per qualsiasi sport. L’importante è iniziare a pensare come mettere in atto i miglioramenti nella squadra in cui si opera. Risulterebbe troppo facile fare un discorso generale su come sarebbe bello vedere gli intenti della federazione rivolti al finanziamento e al sostegno di attività che coinvolgano le giovanili come la nazionale. So che ci sono molti progetti che stanno partendo e anche io sono attore curioso di queste novità. Se dovessi pensare a cosa mi piacerebbe vedere per la prossima nazionale direi giovani determinati, seri, formati, concentrati. Io nel mio piccolo lavoro perchè questo accada.

D. Ti vediamo entusiasta in quello che fai. Sulla tua passione per il football non c’è dubbio. Il settore giovanile ti da una spinta in più? Crescere un atleta dalle basi è uno stimolo, ma anche un bell’impegno.

R. Alleno i giovani perchè credo fermamente che sia a quest’età che si forma quello che poi diventerà un giocatore, ma prima di tutto un uomo. Nel football sei quello che sei, non puoi fingere, non puoi cambiare la tua natura, non puoi essere ciò che non senti di essere. Io dico sempre ai ragazzi: “La vostra natura non vi tradirà mai e nel football ognuno ha il suo ruolo”. Chi gioca in attacco è disciplinato, deve avere timing, serenità interiore e proteggere la palla ,chi gioca in difesa deve pensare poco, essere reattivo ed aggressivo e deve avere un istinto di protezione molto forte del territorio. Io iniziai giocando in attacco, poi ebbi un incidente in moto e così cambiai: iniziai a giocare in difesa. Il football, come ho già detto, ha un posto per tutti coloro che sono davvero determinati a scendere in campo. Ti fa scoprire e sviluppare lati di te stesso che sono affiorati da grandi o piccoli cambiamenti della vita. E’ uno sport che ti permette di prendere coscienza di te stesso precocemente rispetto ad altre esperienze adolescenziali, ti permette di conoscere pienamente la tua natura intellettuale e fisica. Ciò che desidero trasmettere ai ragazzi è la mia passione per questo sport. Provare passione per qualcosa nella vita è fondamentale. Il mio unico vero ruolo di educatore sta nell’aiutarli a scoprire la loro natura e ad assecondarla, allenarli secondo essa e cercare di non permettere che la pigrizia o l’arroganza dell’età guastino il loro potenziale fisico ed emozionale che negli anni a venire sboccerà.

D. Quest’anno i Cisalfa Seamen hanno sfiorato la vittoria in EFL Cup e ora hanno vinto il quarto titolo italiano, disputando la quinta finale in sei anni. Ci sono ancora margini di crescita secondo il tuo parere? Dove possono arrivare in futuro i Marinai?

R. Non esiste un punto di arrivo, un approdo, nè nella vità, nè nello sport. Non può esistere un tempo condizionale alla risposta di questa domanda, c’è sempre un margine di crescita alla luce dell’evidenza che l’anno prossimo i ragazzi avranno un anno in più, arriveranno nuovi giovani nella nostra squadra e così nelle altre. Saremo spettatori di nuovi confronti all’interno del nostro team e vedremo nuovi scontri con le altre squadre. Da questo, dall’incontro, scaturiranno i nuovi percorsi da seguire. Oggi viviamo il tempo presente.

D. Come sempre l’ultima domanda è in realtà uno spazio libero. Se hai un messaggio da lanciare a tifosi, dirigenti e al mondo del football italiano questo è il momento.

R. Lo spazio libero lo voglio usare per parlare dei miei sentimenti, del mio pensiero per questo sport. Il football non scarta nessuno, nessun fisico, grasso o magro, non fa emarginazioni per razza o religione, è lo sport più democratico che conosca. Tutti possono giocare se lo desiderano, se sono disposti ad allenarsi. I tifosi, gli organizzatori sono spettatori, io invece parlo ai giocatori che sono gli unici che ci mettono tutto: anima e corpo sul campo partita dopo partita. Nella natura di chi gioca non deve esserci paura di cadere, se prendi la palla devi correre sapendo che qualcuno cercherà di buttarti a terra, se difendi la tua squadra devi essere pronto a cadere insieme all’avversario che vuoi fermare. Solo chi non ha paura di cadere non ha paura di rialzarsi e poco deve importare quanto sia forte il male che ci si fa nel mentre…. Solo un atleta sa cosa vuol dire il dopo partita fatto di botte e dolori. Ma è così che ci si tempra, cresce la passione e si alimenta il proprio carattere che si rialza e reagisce dopo ogni emozione, sentimento e amore per la vita!

Grazie Ambrogio, prezioso elemento di un settore che è il fiore all’occhiello della Milano blue navy!

Ufficio Stampa Seamen Milano

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